sabato 26 settembre 2009

La paura di stare e l'intenzione di stare

L’INTENZIONE DI ESSERCI E LA PAURA DI ESSERCI

Stare vicino a una persona fa paura, specie se si è stati abbandonati, o si è sofferta la mancanza di qualcuno che si amava e che non c'era quando lo si aspettava, o se peggio si è stati aggrediti da chi ci amava e ci doveva proteggere o andava via mentre ci si aspettava che rimanesse.

Alla fin fine siamo stati tutti abbandonati, abbandonati da bambini, o feriti nel corpo o con le parole più e più volte, dallo stesso genitore, o da entrambi: capita ovunque, anche nelle migliori famiglie. Se si ama una persona, si può vedere dentro di lei quella parte bambina, disperata, che piange in silenzio, nel gelo del ritiro, o nella rabbia, o nella disperazione. La si può vedere nella sua cameretta, nel suo piccolo corpo, con il suo piccolo cuore.

E’ una condizione universale: su questa terra ci sono 7 miliardi di bambini disperati che vivono la vita senza che il tempo sia passato da quell'ultima ferita, da quell'ultima cicatrice, da quel momento in cui qualcosa si è rotto nel cuore. Emotivamente l’umanità è restata piccola, molto piccola.

Se si ama una persona, quella parte la si può vedere anche dentro di sè.

Quella parte è fatta di no, di chiusure, di cinismo, di freddo o di distruttività.
Difende dall'abbandono: l'ennesimo abbandono. O dall’aggressione, l’ennesima aggressione.

Così si vive nella paura, scappando dalle relazioni prima dell'ennesima ferita. Fino alla prossima relazione, o sempre nella stessa, ma con uno o più amanti.

Se si ama una persona bisogna vedere quella bambina, quel bambino, in sè e nell'altra persona, amarla, starle vicino, ma rispettando quelle che sono le scelte che quel bambino o quella bambina decidono di fare su quel dolore, su quel pianto, su quel freddo.

E potrebbero non essere scelte sempre sagge o costruttive.

E’ deleterio per il cuore una coscienza che lo lascia in balia delle paure dell’altra persona, vedendo solo il bambino addolorato dell’altro, e non la sua freddezza, il suo egoismo, il suo cinismo che da quel dolore emergono. “In fondo lei o lui è così buono, è così buona”…. No! nello stesso tempo è anche maledettamente sadica.
Così, avere paura in una relazione è normale: il cuore è fragile e più serio diventa il legame più la paura cresce, perché la vicinanza rende anche più facile la ferita dell’abbandono o dell’attacco.
Alcuni soffocano la paura lavorando. Altri scappando. Altri lottando contro chi amano.
Pochi restano fermi in ascolto, come fanno gli erbivori quando fiutano un predatore vicino: con attenzione e intuito.

C'è solo un modo per gestire la paura: avere una coscienza che sa sostenere il cuore con l'intenzione di esserci e che sa regolare la distanza dell’altro, sapendo gestire la lontananza e la vicinanza, senza chiedere al legame di essere sempre al 100% o “aderente” e sorvegliando affinché non diventi troppo “lasco”. Ci vuole una coscienza che sa fermare gli attacchi dell’altro e nello stesso tempo che sa far entrare il buono dell’altro nel proprio cuore. Vedere dentro di sè una forza, un sentimento per cui vale la pena lottare, e lottare per essa è vitale per l’anima, invece aspettare che quella forza risolva tutto da sé è una delle illusioni che più addormentano la coscienza (la coscienza viene così addormentata dalle credenze errate, mentre il cuore dalle emozioni distruttive). Se non si lotta, se si rinuncia, quella forza è sprecata per sempre, e la sua energia può diventare distruttiva.

Bisogna essere all'altezza dei sentimenti che si provano, saperli contenere, saperli guidare e proteggere: se non lo si fa, diventano veleno nel cuore. Accade così anche ai bambini: se non li si sa guidare, consolare, incoraggiare, limitare, crescono come spine nel fianco in una famiglia che deve ancora fare i conti con il mondo delle emozioni e degli affetti, così tanto temuti. Abbiamo tutti spine nel cuore, abbiamo tutti i nostri “no”, abbiamo tutti dolori oltre i quali non permettiamo ancora a qualcuno di entrare. Eppure la vita ha senso solo se ce ne assumiamo la responsabilità, se decidiamo di affrontare queste paure, se decidiamo di affrontarle con la persona che amiamo, per la persona che amiamo. Se non lottiamo fino alla fine per quella persona, forse ce la porteremo dietro per molto, troppo tempo. Non è un male avere limiti nella capacità di amare, non è un male ritirarsi, né attaccare, né disperarsi: è un male giustificare tutto questo, o credere tristemente che sarà per sempre così. Così, se a qualcuno non basta come ami, chiedigli se se la sente di smettere di accusarti e temerti chiedigli di stare dalla tua parte e di aiutarti, e fai qualcosa per crescere assieme a quella persona. Se ti accorgi che non riesci a fidarti del tutto di quella persona, parlaci e cerca di aiutarla a andare oltre i sui limiti. Se parlare non serve, resta in silenzio consapevole di tutti questi limiti e agisci semplicemente senza parole. E se in questo agire silenzioso, in questo dolore, a un certo punto ti accorgi che hai pulito il tuo cuore, ma che fuori ancora non cambia nulla, allora decidi se ha senso restare. Non è un male avere difficoltà: è un male non farsi aiutare a risolverle. Non è un male avere limiti, è un molto rischioso invece pensare di farcela da soli – o con metodi “fai da te”, come gli amanti. Da soli non possiamo fare nulla. Non è un male avere paura: è un male lasciare che questa paura paralizzi e vinca l’intenzione di esserci e di continuare a lottare e soffrire e crescere e vincere. Assieme.

Alessandro D’Orlando






2 commenti:

  1. Grazie per questo articolo.
    Vorrei sapere: c'è un metodo per "rafforzare" la coscienza? Perchè di solito nei momenti difficili è il "bambino" che c'è in noi a prevalere. E tu poi ti rendi conto che hai agito in modo completamente sbagliato, che avresti potuto essere più adulto, più razionale, che avresti dovuto sostenere con decisione e assertività le tue ragioni, o comunque cercare un dialogo anche se ciò sarebbe costato tempo e fatica, magari ore di sonno e le solite inconcludenti discussioni..Ma sei talmente stremato e stufo che non credi che ne sarebbe valsa la pena e pensi che il tuo cuore non sarebbe stato in grado di sostenere l'ennesima scenata, che peraltro non arriva mai fino in fondo perchè hai troppa paura, senza sapere nemmeno di cosa. E allora ti fermi prima e cancelli tutto come se niente fosse successo, percependo soltanto l'enorme perdita di energia che tutto ciò comporta. Così ogni volta che avresti l'occasione di confrontarti con l'altro...lasci stare, decidi di addormentare la tua coscienza e il tuo cuore resta nel suo silenzioso dolore, diventato ormai così familiare da essere quasi rassicurante. E non hai risolto nulla! E così no? E dunque tutto parte dall'avere una coscienza forte che sia in grado di sostenere il cuore fino in fondo. Così potrai parlare con l'altro, chiedergli aiuto, cercare di capire i suoi limiti e soprattutto vedere i tuoi limiti che si riflettono nell'altro. E potrai sviluppare il rapporto e capire se effettivamente può funzionare o meno, se va o se non va. Senza limitarti a percepire qualcosa che non vuoi vedere, che non vuoi ammettere.
    Quindi come fare affinchè la coscienza, anche nei momenti difficili, guidi e sostenga il nostro cuore?
    Grazie..

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  2. La coscienza si rafforza attraverso un lavoro sulle convinzioni, pulendo quelle che danneggiano e limitano.
    Per farlo non basta però leggere buoni libri.
    Bisogna fare esperienze che invalidano le vecchie credenze, e questo è il difficile, perchè la realtà è creata dalle nostre stesse credenze!
    In questo caso serve l'aiuto di qualcuno che ha una coscienza più chiara, almeno sui temi che fanno soffrire: quella persona con la sua vicinanza, con la sua guida, con le sue domande e con le sue azioni può metterci più o meno delicatamente in contatto con i nostri limiti: pensare di farcela da soli è quindi un delirio.

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