domenica 22 novembre 2009

Quando le luci si spengono

Arriva sempre un momento in cui non sai più cosa fare.

Un momento in cui non hai più una direzione, non sai più come continuare a fare quello che avevi sempre fatto, a come continuare a credere a quello in cui hai sempre creduto, un momento in cui senti che il fondo della vita è infinito e che tu puoi continuare a scendere se non fai qualcosa di diverso da quello che stai facendo, se non pensi a qualcosa di diverso da quello che stai pensando.

Arriva sempre un momento in cui i grandi sogni che avevi non sembrano più così grandi, in cui credi di essere stato ingannato dai tuoi stessi sogni, in cui effettivamente vedi che erano sogni troppo piccoli, con il loro tempo sprecato – o che erano sogni troppo grandi, con le loro fatiche estenuanti.

Arriva sempre un momento in cui ti accorgi che il tempo è passato e sono alle spalle gli amici di un tempo, e in cui ti accorgi che l’affetto della tua famiglia non riesce a scaldarti il cuore, e in cui non vedi isole dove approdare, in cui ti sembrano sempre più lontane le oasi degli anni verdi e della salute e della innocenza.

Arriva sempre un momento in cui vorresti lasciarti andare e abbandonare ogni fatica, anche se sai che questo non farebbe che peggiorare la situazione.

Arriva sempre un momento in cui quello che sapevi fare non serve più, e che quello che ti viene da fare non fa che ingarbugliare di più le cose. In cui ciò che sai, che pensi, che speri, che credi ti lascia con un senso ancora più profondo di solitudine e insoddisfazione.

E di solito in quei momenti accade di dormire troppo o troppo poco, o di bere troppo, o di stare troppo davanti ad uno schermo blu, o di prendere qualcosa o fare qualcosa che faccia addormentare una mente implacabile con i suoi giudizi.

In quei momenti alle volte sembra di essere vicini alle soglie della morte: la vita appare in retrospettiva e si guarda a tutte le proprie cadute, ai dolori inferti a qualcuno, ai propri fallimenti, alle proprie debolezze. Si resta così, senza parole, davanti a quella che appare come una lunga serie di macerie che portano fino al punto in cui sei fermo a guardare quello che è accaduto. E non vedi prospettive.

In quei momenti non hai vie di fuga, sei in solitudine, davanti al cuore delle persone che hai ferito o abbandonato, davanti ai progetti che hai tradito o in cui non hai mai creduto, davanti ai tuoi giudizi e i tuoi rimproveri che possono essere anche peggiori di ciò che è stato.

E la cosa peggiore è che forse, su ciò che hai fatto, su ciò che hai pensato, su ciò in cui hai creduto, su ciò che realmente hai saputo dare e su ciò che realmente hai saputo ricevere, su ciò che ti resta ancora da fare e da vivere – la cosa peggiore è che forse hai ragione.

In quei momenti il mondo scompare, e allora c’è il rischio che il dolore diventi troppo dolce.
O che tu lo voglia allontanare con altri sogni per ritornare al mondo con questi altri sogni.

In quei momenti il mondo scompare, e sei a un passo dall’essere a tu per tu con il tuo cuore con il suo dolore – e con il dolore del cuore di chi amavi o ami, di chi ti amava o ti sta amando. E forse anche con il dolore delle persone che non hanno niente a che fare con te.

Ti manca solo un ultimo passo, forse il più difficile: non credere nei tuoi giudizi su di te. O di quelli degli altri su di te. O nei giudizi sulla vita e l’esistenza.

Se ce la fai, se reggi, se rinunci ad aggrapparti a facili schemi o a identificarti con il dolore che invade ovunque il tuo mondo – se ce la fai può accadere qualcosa di grande, qualcosa che forse è l’essenza stessa del nostro essere qui:

accade che diventi un poco di più un essere umano.

Dopo, ha senso ricominciare.

Alessandro D’Orlando

1 commento:

  1. ....e solo a quel punto riesci a vedere intorno altri esseri umani che come te sono arrivati in fondo e vogliono ricominciare.

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