sabato 21 marzo 2009

ESSERE IN CONTATTO CON SE' STESSI

Mi sono chiesto per lungo tempo se aveva ragione un esponente mondiale della PNL se era vero che guardarsi negli occhi a lungo non era poi così importante per stare in contatto con gli altri: faceva capire che tutto è una costruzione della mente…- almeno questo mi sembrava il tono delle sue dichiarazioni.
Mi chiedevo cosa significa stare in contatto con qualcuno, quando di mezzo ci sono l'EGO, le manipolazioni, i giochi di potere, le paure, le cose che ci raccontiamo ed in cui crediamo e che però con la vita c'entrano poco.

Adesso, dopo anni, mi rendo conto che stare in contatto con qualcuno significa permettermi di provare le emozioni che lo stare in relazione con lui/lei mi suscita, il permettermi di condividerle, con attenzione, e lo stare in ascolto dell’effetto che fa all’altro questa condivisione.

Essere in contatto con l’altra persona significa oggi per me l’accettare il mio bisogno dell’altro, la mia vulnerabilità davanti al fatto che posso sempre essere abbandonato, ferito, tradito, offeso.

Soprattutto che posso io fare questo con lui per automatismi miei che potrei non riconoscere per tempo e che potrebbero fare del male a chi è in relazione con me in quel momento.

Ritiri inspiegabili, parole e gesti grossolani, mancanza di tatto: sono infiniti i modi per non stare in contatto con sé stessi e con l’altro.

Oggi per me l’unica medicina è stringere un patto nella relazione, con il quale io non esco da essa semplicemente per paura, come se il sottofondo di base fosse dato dalle parole: ti tengo, come vorrei che tu tenessi me, nonostante tutta la mia e tua negatività.

Ci sono, anche se tu vai e poi torni, o se io posso fuggire e tornare, senza nessuna spiegazione che possa attenuare il dolore dell’abbandono o della ferita.

Ci sono, puoi contare su di me ed io su di te: perché anche darti la possibilità di darmi qualcosa, o di toccarmi il cuore può essere buono non solo per me ma anche per te.

Oggi per me stare in relazione significa non dare peso a tutto ciò che ha fatto e fa male, perché la bellezza di stare a cuore aperto davanti a qualcuno, aperto alla possibilità di ricevere e di chiedere, di dare qualcosa o di condividerlo, è molto più importante.

Come se nei ricordi i momenti belli fossero infinitamente più veri di quelli brutti.

Come se nel presente i momenti di “intimità” tra noi fossero più significativi di quelli dove non c’è intimità.

Forse, da questo punto di vista, ci sono infiniti modi per non essere nella relazione con l’altro, e forse questi momenti nella vita prevalgono: ma credo che alla fine della giornata, e forse anche della vita, se in noi troviamo degli spazi di pieno, e di nutrimento, questi spazi sono fatti di relazioni e di persone in cui e con cui noi abbiamo stabilito un contatto con l’altro.

E cosa sia questo contatto io l’ho provato a dire qui.

Domani questa idea di intimità sarà ancora più ricca per me: e questo è forse crescere come esseri umani, o meglio, divenire veramente esseri umani, e cessare di essere semplici automi schiavi delle abitudini e dell’educazione.

Sempre questo percorso è contrassegnato dal dolore di scoprire in quanti modi ci neghiamo alla vita e alle persone: ma per me non c’è dolore più fertile.

E anche ora che sto per concludere, termino con un senso di gratitudine per avere la possibilità di poter esprimere queste parole e di dare e condividere quanto ricevo ogni giorno…. Anche con te…

Alessandro D'Orlando

3 commenti:

  1. Trovo bellissima questa idea di contatto con chi ci sta di fronte, un contatto profondo in cui le parole non servono, in cui le azioni, superficiali e grossolane, vengono superate da uno sguardo. Ma siamo così abituati a catalogare ogni relazione (d’amore, d’amicizia, di lavoro…) che questo stare a cuore aperto può generare facilmente confusione, in me o nell’altra persona.
    Mi chiedo: è veramente così importante “classificare” ogni rapporto (con il rischio poi che le classificazioni reciproche non coincidano) o si può stare in contatto con qualcuno semplicemente perché ci fa bene? E soprattutto cosa fare se la ricerca di contatto viene fraintesa? Come evitare di farsi travolgere dalle emozioni?

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  2. Credo che sia molto importante classificare una relazione: significa dare una direzione e una chiarezza a qualcosa di informe e ambiguo - penso solo alla confuzione che crea una relazione affettiva o anche solo sessuale sul posto di lavoro...
    Credo che questa chiarezza sia la base per non essere fraintesi e per gestire le emzoioni del cuore con efficacia.

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  3. Alcuni mesi fa ho letto questo articolo e ricordo ancora ciò che mi aveva suscitato e le conseguenti riflessioni. Mi ero resa conto di quanto poco ero in contatto con me stessa,o meglio,di quanto fuggivo a questo contatto.
    Oggi leggo il commento di Angela e le domande che lei si pone,grazie a queste rifletto ulteriormente e osservo a dietro quante domande ci si può nascondere per rinunciare e non stare in contatto con se stessi.
    Secondo me,la paura d’essere fraintesi nasce anche da un aspettativa, non solo dallo stare a cuore aperto di fronte all’altro. Trovare il coraggio di aprirsi e vivere il presente per ciò che si è,così,semplicemente fidandosi di ciò che si prova in quel momento, a mio avviso,può essere una opportunità di crescita. Sarebbe troppo facile aprirsi seguendo delle indicazioni, per farla breve ,è come pretendere una garanzia, una certezza che tutto andrà bene. A distanza di mesi da quando l’ho letto, mi rendo conto che è molto utile un lavoro su se stessi,per scoprire gli strumenti adatti come sostegno e aiuto. La mia piccola esperienza,mi ha dato la possibilità di migliorare e avere una maggiore capacità nell’ agire. C’è stata una trasformazione,forse piccola,non ha importanza,ma è un passo,un passo che fa spazio al nuovo.
    A mio parere,questo articolo è un “richiamo” utile sull’importanza dell’indagare, per imparare a conoscere se stessi per poi vivere con più sincerità e con sempre meno paure.

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