
Dimentica chi commette le crudeltà più orrende.
Dimentica chi violenta qualcun altro.
Chi fa piangere.
Chi picchia.
Chi umilia.
Dimentica e sorride.
Pensando che la vita è normale così.
Che i giorni sono uno uguale all'altro.
Anche se hanno spezzato l'anima di chi avevano vicino.
Chi è ferito non si riconosce negli occhi di chi quella ferita è stata la causa. Quegli occhi non ci sono.
Non hanno passato e nessun ricordo, nè presente - solo un insipido futuro ebete come il sorriso che nutrono.
C'è quindi la ferita, e poi la dimenticanza della ferita.
Dimentica il carnefice quello che è successo un minuto fa.
Dimentica la vittima, che crede irreale quanto è successo.
Non trova traccia dell'accaduto negli occhi delle persone intorno, nè ha la forza per ricordare cosa ha provato.
Cosa sia peggio, tra la dimenticanza della vittima e quella del carnefice, è arduo da capire.
Forse siamo su questo pianeta anche per ricordare. La giustizia forse è ricordare tutto l'effetto dei torti.
Per guarirli e lasciarli andare.
Per mostrare l'effetto delle sue azioni al carnefice entrato in noi, affinché veda i risultati di ciò che sta facendo e si renda conto e la smetta.
Per smettere di ricordare il passato inconsapevolmente ripetendo nei gesti e nei comportamenti ciò che accadde allora - divenendo ciechi carnefici di noi stessi (ci si comporta male con sè stessi come allora, pensando di essere normali);
e lasciare cadere alla fine i ruoli di vittime (siamo stati vittime), di salvatori (abbiamo cercato di salvare il carnefice dagli effetti delle sue azioni e gli abbiamo nascosto il nostro dolore, soprattutto se "ci voleva bene") e di carnefici (per il carnefice entrato in noi e lì rimasto con le sue offese, umiliazioni, attacchi) ed essere noi stessi oltre la nostra storia.