sabato 8 agosto 2009

PERDERE E' LA PRIMA COSA CHE FACCIAMO E L'ULTIMA CHE IMPARIAMO

Il titolo è un detto degli indiani d'america, almeno così mi è stato passato.
Credo che sia importante il messaggio che porta: non ci sarebbero così tante sofferenze quando le cose non vanno come dovrebbero nei rapporti di ogni giorno.

Non ha senso cercare di capire cosa sta dietro l'azione di una persona, soprattutto se dietro questa ricerca si nasconde l'illusione di controllarla, di prevederne le mosse, di proteggersi da lei.
Lo si può fare, certo, ma richiede fatica e la posta in gioco deve essere alta. Soprattutto non si opera in un regime di parità: è più qualcosa che ha a che fare con la manipolazione, la seduzione, la guerra psicologica per vincere sull'avversario e avere da lui quello che ci serve.

Ma quando è l'anima dell'altro quella che vogliamo, il suo amore, il suo cuore, a quel punto non resta che accettare di essere su un piano di parità: su quel piano possiamo anche essere deboli e impotenti davanti alle chiusure dell'altro. Possiamo solo aspettare - se ce la facciamo - che l'altro decida cosa vuole fare: se procedere o meno, e come.

Su quel piano si tratta, ci si scontra, ci si confronta, ma sempre su un piano di parità.
Anche con il rischio di perdere.

Vincere con l'astuzia sarebbe equivalente ancora a perdere.
Si vincerebbe una persona che non ha la forza per sostenere il ruolo che le è stato dato.

Così, ancora una volta, l'unica cosa che vale la pena fare è ritirarsi. Aspettare, se si vuole farlo.

Ho visto molti pazienti impegolarsi dentro situazioni sempre più intricate solo perchè rincorrevano qualcuno. Non ne vale la pena. Soprattutto se il prezzo è un progressivo indebolimento.

Alessandro D'Orlando

venerdì 7 agosto 2009

COME FINISCONO LE STORIE

Alle volte si lotta contro la fine di una storia, ostinandosi a cercare un sentimento dientro il male che l'altro compie. Ci si ostina a cercare la luce che sta oltre le azioni e le parole che allontanano.

Ma così ci si procura solo sofferenza.

Nelle storie c'è sempre chi se ne va per primo, e quello può farlo semplicemente al posto dell'altro.

E c'è sempre un innocente che si accanisce sul colpevole, e la rabbia dell'innocente è spesso peggiore del colpevole, perchè è la rabbia del giusto.

E c'è sempre che si lamenta che non ha abbastanza, perchè non riesce ad ammettere che non è abbastanza ciò che dà.

Così tutto si confonde: chi resta vuole trattenere chi se ne va non riconoscendo la propria voglia di andare, chi si accanisce contro l'altro non riconosce la rabbia sproporzionata, chi si lamenta non si accorge delle proprie carenze.

Tutto si rovescia e si confonde.

Non resta che stare fermi, aspettare.

Immobili, senza andare verso l'altro, nè allontanarsi, cercando di ricostruirsi una vita da soli.
Chiarendosi dentro.
Ammettendo le proprie colpe...
Dopo si può, forse, ricominciare.

Spesso invece si trattiene l'altro senza diritto, o ci si allontata prima del tempo.

Bisogna invece fare come i cacciatori, fermi, fino all'ultimo giusto centimetro dalla preda.

Il dolore acuto allora prepara a un nuovo inizio, o a qualcosa di totalmente nuovo.

Alessandro D'Orlando

giovedì 6 agosto 2009

La parte più umana dell'essere

Alle volte le cause vanno sostenute anche se sono cause perse, non perchè c'è l'illusione che possano essere vinte, ma semplicemente perchè la lotta per queste cause mantiene viva quella parte di noi che è ancora umana. Non si tratta di illudersi di vincere, o di sperare di vincere: si tratta semplicemente di sentirsi umani, coerenti con quelle forze in noi orientate alla vita.

Le cause sostenute possono volere giorni, o forse secoli, e lo spirito è semplicemente quello di stare in un flusso che permette di mantenere l'ispirazione e la vitalità.

Kant una volta scrisse qualcosa del genere: "La differenza tra un essere umano e l'universo è che l'essere umano può guardare l'universo mentre lo sta per annientare, ed esserne consapevole".

Credo che sia vero: possiamo guardare al Male mentre impeversa, essendone consapevoli, anche nella totale impotenza.

Questo ci àncora nella pura percezione, senza l'ossessione continua di agire: da questa pura percezione senza urgenza può nascere una parola, un gesto, una forza che può - forse - cambiare qualcosa.

Se non altro, dentro di noi - come ad esempio, la libertà dalla paura.
Ed è già la vittoria principale.

A.D.

Ti stai solo scaldando

Ci sono momenti della vita dove ci si sente soli, dove non arriva il calore della amicizia, o delle relazioni di ogni giorno, dei sogni sul futuro o dei ricordi. Alle volte ci sono dei momenti dove ci si può sentire anche dimenticati dalla Vita, e da un senso da dare alle cose.

Quelli sono i momenti in cui ci si lascia andare, o si reagisce pensando che ci si deve rialzare (dando per implicito l'insidioso presupposto che si è caduti per terra), o si pensa che quello è il momento in andare avanti con tutte le proprie energie, senza risparmiarsi... Comunque sia, ci si dimentica che alla fine si tratta - forse - della rappresentazione di un semplice dramma, e che la frase che può aiutarci è quella che Milton Erickson, il più grande ipnotista mai esistito, disse una volta ad un paziente: quando pensi di essere arrivato alla fine, in realtà pensa che ti stai solo scaldando...

Ti stai solo scaldando, e bel altre sono le sfide che ti aspettano, e non è detto che siano solo sfide in cui sopportare una perdita, forse sono anche sfide in cui rischi di conquistare qualcosa.
Essere bravi in tutte e due le cose non è da tutti.

Buon viaggio

Alessandro D'Orlando

martedì 21 aprile 2009

Passaggi obbligati

Passaggi obbligati

Categoria » Articoli/Video
Inserito da Redazione lunedì 22 settembre 2008

Qualche tempo fa, riflettendo sulla mia vita, sulle mie aspettative e sui miei desideri e valutandone successivamente l’effettiva realizzazione, sono giunta ad un’illuminazione o “insight”, come diciamo noi psicologi: per essere felici in 3, bisogna prima essere felici in 2 e ancor prima essere felici in 1 solo.

Ora spiego meglio cosa intendo: per formare una Famiglia (il 3) bisogna prima formare una coppia.

Per concretizzare una vita di coppia davvero felice (ciò che io chiamo 2) bisogna prima riuscire a vincere le proprie nevrosi e completare un certo percorso, diverso per ognuno di noi, di crescita e sviluppo personale, di conoscenza di chi siamo e dove vogliamo andare e soprattutto di cosa siamo disposti ad investire nel mondo delle relazioni e di che cosa siamo pronti a ricevere. Solo se sei la Regina del tuo regno puoi trovare il tuo Re, la principessa non può governare un regno, la principessa continua a trovare principi.

Allora la maturità per me è sentirsi principessa e affrontare le prove necessarie per diventare Regina, un percorso obbligato che da senso alle mie scelte e mi da la forza di accettarne le conseguenze (questo per me è l’1).

Una volta conosciute le proprie nevrosi, per esempio, si possono adottare comportamenti diversi dal solito, in modo da “guarirle” o almeno “aggiustarle”, evitando così di trascinarle all’interno della coppia.

Tutto ciò certo non basta per far funzionare una coppia, ma aiuta: se gli ingredienti sono buoni e sani, anche la pietanza può essere cucinata bene, sta ai cuochi farne un buon uso e se questo avviene ci sono i presupposti per l’amato 3….

Daniela Marega

Un’altra testimonianza

Un’altra testimonianza

Categoria » Articoli/Video
Inserito da Redazione sabato 20 settembre 2008

Questo pomeriggio ascoltavo per la centesima volta una canzone ma devo aver prestato più attenzione alle parole (forse ero più in ascolto) e l’ho collegata al tuo articolo sull’anormalità e mi è venuta voglia di condividere questa mia riflessione.
La canzone dice (tra le altre cose) ……che noi siamo preoccupati dei pericoli che arrivano dalla strada, dalle guerre, ecc ma il vero pericolo è quello di non sentire più niente…….. e poi continua.
Quasi tutti noi viviamo di corsa, sempre avanti, mai fermarsi, lavoro, divertimenti, viaggi, ecc. ecc. una giostra che gira, gira senza fermarsi.
Perché fermarsi vuol dire cominciare a sentire quello che proviamo, quello che ci manca (e che riempiamo di cose da fare, di cazzate), cosa abbiamo veramente bisogno.
E allora solo chi ha coraggio si ferma, si guarda dentro e comincia a lavorare su se stesso.
Sia che lo faccia con terapie di gruppo o individuali, sia che lo faccia da solo, comincia un percorso sconosciuto, spesso impervio fatto di tante salite, tanti ruzzoloni forse qualche discesa, dove verranno versate molte lacrime, ma saranno lacrime per se stesso che serviranno, come fossero delle lenti particolari, a guardarsi dentro, a vedere di cosa hai veramente bisogno.
Molto probabilmente non ci vuole solo coraggio, ci vuole un po’ di “incoscienza”. Ben venga se serve a far venir fuori una persona “autentica”, “vera”, che vive quello che sente con libertà senza pensare a quello che gli altri possano pensare solo perché sceglie di passare un pomeriggio a lavorar su te stesso.
Grazie per quello che scrivi, magari non subito (almeno x me) ma serve per riflettere
A ……. quando ci vediamo
F.

Vivere morendo e morendo per vivere.

Vivere morendo e morendo per vivere.

Categoria » Articoli/Video
Inserito da Redazione giovedì 18 settembre 2008

Vivere morendo e morendo per vivere.
Siamo condannati a costruire, qualsiasi cosa facciamo.
Costruiamo ogni giorno relazioni affettive, professionali, oggetti e idee. Il nostro esistere lascia così una inevitabile traccia nel tempo, dietro di noi, e produce – volenti o nolenti – conseguenze che ansiosamente sappiamo che non potremo mai prevedere del tutto o controllare.
Così siamo tentati di rendere i nostri passi sulla sabbia sempre più leggeri e felpati: potremo così impedire a qualcuno di seguirci, potremo dileguarci efficacemente quando la situazione si fa insostenibile, potremo forse ritornare sui nostri passi una volta scoperto l’errore senza accorgerci – noi stessi o gli altri - nemmeno dell’entità dell’errore dalle nostre tracce.
Così le scelte di dove vivere, con chi, con quale lavoro e le filosofie di vita inseguite divengono sempre più evanescenti come le nostre orme: tutti e tutto possono sempre più essere scambiati con tutti e tutto il resto, in un Universo di contatti sempre più fugaci e meno intensi.
Ma come dimostra il successo delle storie con gli eroi al cinema e nella letteratura - la scelta irrevocabile, di un punto di non ritorno, di un atto dalle incancellabili conseguenze – la scelta di camminare pesanti sulla sabbia, di legarsi per sempre a qualcosa o qualcuno – la scelta di puntare i piedi e mettersi in gioco completamente a ogni costo – tutto ciò continua ad evocare in noi un fascino lontano e irresistibile e ci porta ad ammirare chi dimostra di saperlo fare.
Nel profondo sappiamo che vivere un’esperienza fino in fondo, con convinzione, accettando le conseguenze senza recriminazioni, senza “se” e “ma”, pagandone l’intero prezzo, anche se questo rischiasse di implicare la morte, la malattia, l’infelicità più profonda, la follia: ciò dimostra forza e apporta forza all’Anima, ma è una strada per i pochi che scelgono di andare oltre la cultura moderna e la sua arrogante razionalità.
In un’epoca di razionalità, l’unica strada sensata è quella dell’”Uomo dell’organizzazione” come direbbe William White nel suo omonimo libro, sempre meno imprenditore e sempre più manager anonimo di una macchina pre-impostata.
L’unica strada è quella dell’amore promiscuo e del tradimento (dei vari menage a tre o più o degli exchangers, che cercano sollievo da una fedeltà che appesantisce ed amplifica le sofferenze e le paure individuali).
L’unica strada veramente razionale è quella dell’azionista pronto a investire sul prodotto migliore ma anche a disinvestire con la massima rapidità – e non importa se questo prodotto è la persona “che amiamo” (sempre più sostituibile nel mondo di Internet e degli sms), un lavoro (ad affitto e comunque flessibile), un oggetto (che il leasing sostituisce sempre con uno più nuovo), un’idea (che si mescola nei relativistici discorsi alla De Filippi), una emozione (che cambia con un pulsante del telecomando), una sensazione fisica (che cambia con una pastiglia).
L’unica strada razionale è quella di puntare ad essere il più comodi possibili, di soffrire il meno possibile, di ottenere il massimo dalla vita con il minimo sforzo, calcolando accuratamente tutti i rischi.
L’unica strada razionale è anche mentire o tacere delle cose importanti: assicura onori, denaro e potere, sicurezza, salute, gloria davanti al mondo e lunga vita.
E poi c’è la strada completamente irrazionale.
Quella di chi sceglie di dire la verità è per il quale ogni ora di vita o di felicità è per questo regalata.
Quella di chi sceglie una persona o un lavoro per sempre, con convinzione, con la mente che, ascoltato l’impulso del cuore, dichiara al mondo la sua intenzione, anche se poi questo significherà dolore e sofferenza.
Quella di chi può rimanere spezzato nell’anima, nel cuore, nella mente o nel corpo se le cose non vanno poi nel giusto verso: povertà, malattia, follia, morte, solitudine e i mille fantasmi che accompagnano quello che è anche un viaggio dell’orrore verso l’ignoto del futuro.
Così, logicamente parlando, si perde la propria vita: perdendo i propri sogni anziché creandone di nuovi, rinunciando ai propri obiettivi anziché resistere nella lotta, rinunciando ad una lunga e salutare esistenza fisica, alla piena felicità emotiva permanente, alla soddisfazione della mente nutrita da incontri, idee e persone interessanti e sconosciute, rinunciando alle gioie dell’anima che un quadro, una meditazione, una guida possono dischiudere dietro alla prossima curva.
Vivere così, con la morte dentro, con la fine di tutto sempre imminente: la fine del corpo, la fine degli affetti, dei sentimenti e della gioia, la fine delle proprie meravigliose doti intellettuali e delle proprie idee, la fine della salvezza della propria anima sempre in corsa verso il paradiso, lontano dall’inferno.
In tutto questo non c’è più niente di razionale: la distruzione è probabile quanto e forse più della costruzione, il dolore quanto e forse più della gioia, la morte quanto e forse più della vita, il ripudio e la miseria materiale e spirituale quanto e forse più del successo.
C’è un detto Zen che dice: “Quando il tuo arco si è spezzato ed hai lanciato la tua ultima freccia, allora lancia, lancia con tutto il tuo cuore”…. mettere il cuore in ogni relazione e in ogni cosa, sapendo di poter morire per ogni relazione e ogni cosa. E giocare tutto quello che si ha, fino alla fine – sapendo che si potrebbe perdere tutto prima ancora di aver iniziato a giocare e di aver capito come si gioca, restando con il becco di un quattrino – soli e derisi - nel pieno delle proprie energie e della propria vita[1]: forse anche così l’anima ritorna davanti al Mistero della Morte e della Sofferenza, con la possibilità – e solo grazie alla Misericordia (come direbbero i Cristiani), o la fortuna (come direbbero forse gli stoici) – di aprire il Cuore ad una profondità che, forse, alcuni tra noi non potranno mai conoscere.
Alessandro D’Orlando


[1] E forse il gioco d’azzardo è anche l’ingenuo surrogato di questa scommessa spirituale…

Perche' credi ai complotti, perche' non credi ai complotti

Non credi ai complotti perché ti piace vivere sereno, pensare che andrà tutto bene, che continuerai ad avere lo stesso stile di vita o forse...