martedì 21 aprile 2009

Passaggi obbligati

Passaggi obbligati

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Inserito da Redazione lunedì 22 settembre 2008

Qualche tempo fa, riflettendo sulla mia vita, sulle mie aspettative e sui miei desideri e valutandone successivamente l’effettiva realizzazione, sono giunta ad un’illuminazione o “insight”, come diciamo noi psicologi: per essere felici in 3, bisogna prima essere felici in 2 e ancor prima essere felici in 1 solo.

Ora spiego meglio cosa intendo: per formare una Famiglia (il 3) bisogna prima formare una coppia.

Per concretizzare una vita di coppia davvero felice (ciò che io chiamo 2) bisogna prima riuscire a vincere le proprie nevrosi e completare un certo percorso, diverso per ognuno di noi, di crescita e sviluppo personale, di conoscenza di chi siamo e dove vogliamo andare e soprattutto di cosa siamo disposti ad investire nel mondo delle relazioni e di che cosa siamo pronti a ricevere. Solo se sei la Regina del tuo regno puoi trovare il tuo Re, la principessa non può governare un regno, la principessa continua a trovare principi.

Allora la maturità per me è sentirsi principessa e affrontare le prove necessarie per diventare Regina, un percorso obbligato che da senso alle mie scelte e mi da la forza di accettarne le conseguenze (questo per me è l’1).

Una volta conosciute le proprie nevrosi, per esempio, si possono adottare comportamenti diversi dal solito, in modo da “guarirle” o almeno “aggiustarle”, evitando così di trascinarle all’interno della coppia.

Tutto ciò certo non basta per far funzionare una coppia, ma aiuta: se gli ingredienti sono buoni e sani, anche la pietanza può essere cucinata bene, sta ai cuochi farne un buon uso e se questo avviene ci sono i presupposti per l’amato 3….

Daniela Marega

Un’altra testimonianza

Un’altra testimonianza

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Inserito da Redazione sabato 20 settembre 2008

Questo pomeriggio ascoltavo per la centesima volta una canzone ma devo aver prestato più attenzione alle parole (forse ero più in ascolto) e l’ho collegata al tuo articolo sull’anormalità e mi è venuta voglia di condividere questa mia riflessione.
La canzone dice (tra le altre cose) ……che noi siamo preoccupati dei pericoli che arrivano dalla strada, dalle guerre, ecc ma il vero pericolo è quello di non sentire più niente…….. e poi continua.
Quasi tutti noi viviamo di corsa, sempre avanti, mai fermarsi, lavoro, divertimenti, viaggi, ecc. ecc. una giostra che gira, gira senza fermarsi.
Perché fermarsi vuol dire cominciare a sentire quello che proviamo, quello che ci manca (e che riempiamo di cose da fare, di cazzate), cosa abbiamo veramente bisogno.
E allora solo chi ha coraggio si ferma, si guarda dentro e comincia a lavorare su se stesso.
Sia che lo faccia con terapie di gruppo o individuali, sia che lo faccia da solo, comincia un percorso sconosciuto, spesso impervio fatto di tante salite, tanti ruzzoloni forse qualche discesa, dove verranno versate molte lacrime, ma saranno lacrime per se stesso che serviranno, come fossero delle lenti particolari, a guardarsi dentro, a vedere di cosa hai veramente bisogno.
Molto probabilmente non ci vuole solo coraggio, ci vuole un po’ di “incoscienza”. Ben venga se serve a far venir fuori una persona “autentica”, “vera”, che vive quello che sente con libertà senza pensare a quello che gli altri possano pensare solo perché sceglie di passare un pomeriggio a lavorar su te stesso.
Grazie per quello che scrivi, magari non subito (almeno x me) ma serve per riflettere
A ……. quando ci vediamo
F.

Vivere morendo e morendo per vivere.

Vivere morendo e morendo per vivere.

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Inserito da Redazione giovedì 18 settembre 2008

Vivere morendo e morendo per vivere.
Siamo condannati a costruire, qualsiasi cosa facciamo.
Costruiamo ogni giorno relazioni affettive, professionali, oggetti e idee. Il nostro esistere lascia così una inevitabile traccia nel tempo, dietro di noi, e produce – volenti o nolenti – conseguenze che ansiosamente sappiamo che non potremo mai prevedere del tutto o controllare.
Così siamo tentati di rendere i nostri passi sulla sabbia sempre più leggeri e felpati: potremo così impedire a qualcuno di seguirci, potremo dileguarci efficacemente quando la situazione si fa insostenibile, potremo forse ritornare sui nostri passi una volta scoperto l’errore senza accorgerci – noi stessi o gli altri - nemmeno dell’entità dell’errore dalle nostre tracce.
Così le scelte di dove vivere, con chi, con quale lavoro e le filosofie di vita inseguite divengono sempre più evanescenti come le nostre orme: tutti e tutto possono sempre più essere scambiati con tutti e tutto il resto, in un Universo di contatti sempre più fugaci e meno intensi.
Ma come dimostra il successo delle storie con gli eroi al cinema e nella letteratura - la scelta irrevocabile, di un punto di non ritorno, di un atto dalle incancellabili conseguenze – la scelta di camminare pesanti sulla sabbia, di legarsi per sempre a qualcosa o qualcuno – la scelta di puntare i piedi e mettersi in gioco completamente a ogni costo – tutto ciò continua ad evocare in noi un fascino lontano e irresistibile e ci porta ad ammirare chi dimostra di saperlo fare.
Nel profondo sappiamo che vivere un’esperienza fino in fondo, con convinzione, accettando le conseguenze senza recriminazioni, senza “se” e “ma”, pagandone l’intero prezzo, anche se questo rischiasse di implicare la morte, la malattia, l’infelicità più profonda, la follia: ciò dimostra forza e apporta forza all’Anima, ma è una strada per i pochi che scelgono di andare oltre la cultura moderna e la sua arrogante razionalità.
In un’epoca di razionalità, l’unica strada sensata è quella dell’”Uomo dell’organizzazione” come direbbe William White nel suo omonimo libro, sempre meno imprenditore e sempre più manager anonimo di una macchina pre-impostata.
L’unica strada è quella dell’amore promiscuo e del tradimento (dei vari menage a tre o più o degli exchangers, che cercano sollievo da una fedeltà che appesantisce ed amplifica le sofferenze e le paure individuali).
L’unica strada veramente razionale è quella dell’azionista pronto a investire sul prodotto migliore ma anche a disinvestire con la massima rapidità – e non importa se questo prodotto è la persona “che amiamo” (sempre più sostituibile nel mondo di Internet e degli sms), un lavoro (ad affitto e comunque flessibile), un oggetto (che il leasing sostituisce sempre con uno più nuovo), un’idea (che si mescola nei relativistici discorsi alla De Filippi), una emozione (che cambia con un pulsante del telecomando), una sensazione fisica (che cambia con una pastiglia).
L’unica strada razionale è quella di puntare ad essere il più comodi possibili, di soffrire il meno possibile, di ottenere il massimo dalla vita con il minimo sforzo, calcolando accuratamente tutti i rischi.
L’unica strada razionale è anche mentire o tacere delle cose importanti: assicura onori, denaro e potere, sicurezza, salute, gloria davanti al mondo e lunga vita.
E poi c’è la strada completamente irrazionale.
Quella di chi sceglie di dire la verità è per il quale ogni ora di vita o di felicità è per questo regalata.
Quella di chi sceglie una persona o un lavoro per sempre, con convinzione, con la mente che, ascoltato l’impulso del cuore, dichiara al mondo la sua intenzione, anche se poi questo significherà dolore e sofferenza.
Quella di chi può rimanere spezzato nell’anima, nel cuore, nella mente o nel corpo se le cose non vanno poi nel giusto verso: povertà, malattia, follia, morte, solitudine e i mille fantasmi che accompagnano quello che è anche un viaggio dell’orrore verso l’ignoto del futuro.
Così, logicamente parlando, si perde la propria vita: perdendo i propri sogni anziché creandone di nuovi, rinunciando ai propri obiettivi anziché resistere nella lotta, rinunciando ad una lunga e salutare esistenza fisica, alla piena felicità emotiva permanente, alla soddisfazione della mente nutrita da incontri, idee e persone interessanti e sconosciute, rinunciando alle gioie dell’anima che un quadro, una meditazione, una guida possono dischiudere dietro alla prossima curva.
Vivere così, con la morte dentro, con la fine di tutto sempre imminente: la fine del corpo, la fine degli affetti, dei sentimenti e della gioia, la fine delle proprie meravigliose doti intellettuali e delle proprie idee, la fine della salvezza della propria anima sempre in corsa verso il paradiso, lontano dall’inferno.
In tutto questo non c’è più niente di razionale: la distruzione è probabile quanto e forse più della costruzione, il dolore quanto e forse più della gioia, la morte quanto e forse più della vita, il ripudio e la miseria materiale e spirituale quanto e forse più del successo.
C’è un detto Zen che dice: “Quando il tuo arco si è spezzato ed hai lanciato la tua ultima freccia, allora lancia, lancia con tutto il tuo cuore”…. mettere il cuore in ogni relazione e in ogni cosa, sapendo di poter morire per ogni relazione e ogni cosa. E giocare tutto quello che si ha, fino alla fine – sapendo che si potrebbe perdere tutto prima ancora di aver iniziato a giocare e di aver capito come si gioca, restando con il becco di un quattrino – soli e derisi - nel pieno delle proprie energie e della propria vita[1]: forse anche così l’anima ritorna davanti al Mistero della Morte e della Sofferenza, con la possibilità – e solo grazie alla Misericordia (come direbbero i Cristiani), o la fortuna (come direbbero forse gli stoici) – di aprire il Cuore ad una profondità che, forse, alcuni tra noi non potranno mai conoscere.
Alessandro D’Orlando


[1] E forse il gioco d’azzardo è anche l’ingenuo surrogato di questa scommessa spirituale…

Video breve e poetico sul pensiero

Video breve e poetico sul pensiero

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Inserito da Redazione giovedì 11 settembre 2008

copia indirizzo e vai su:
http://it.youtube.com/watch?v=yMMM_9oSTxY

domenica 19 aprile 2009

L’anormalità della normalità

L’anormalità della normalità

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Inserito da Redazione sabato 6 settembre 2008

Ho sempre incontrato tante persone e colleghi, e pure il sottoscritto si include in questo gruppo, che si chiedono se è normale dedicare fine settimana, migliaia di euro, lacrime e sudore e serate alla crescita personale (terapie di gruppo, corsi sul carattere, sul respiro, sulla meditazione...).

Mi ricordo che una domenica guardavamo da una finestra sul centro di Trieste le persone che camminavano placide, mentre noi da lì a poco avremmo ricominciato con una sessione di body work (tradotto: lavoro sul corpo che fa pingere e ricordare eventi ed emozioni rimosse ....). Ci chiedevamo che senso aveva lavorare per soffrire, e poi lavorare per sistemare la sofferenza che la terapia faceva resuscitare...

Oggi, vedendo cosa succede nel mondo e vicino a me - uso maniacale e distruttivo dell'energia sessuale, disconoscimento del valore delle persone sul piano umano o professionale, ambizione cieca e ingordigia, menzogna sulle verità a livello sociale o personale, sadismo verso i più deboli ... - capisco che la normalità è una conquista.

Sotto una apparente calma, nella vita privata di ognuno di noi si casconde un caos.

La coerenza tra la vita privata e sociale,

tra i pensieri e ciò in cui crediamo e le emozioni e le azioni che compiamo ogni giorno,

questa coerenza non è comune: è straordinaria.

Essere semplici come può sembrare che siamo, quando passeggiamo in una bella giornata di sole in una strada qualsiasi del mondo sorridendo,

questa è una conquista - e semplice non vuol dire facile.

Ed essere ciò che pensiamo e diciamo e vogliamo essere non è una partenza: è un arrivo.

Amare la nostra vita e il mondo così come sono non è scontato: è un dono miracoloso.

Essere umani in un corpo da essere umano non è un regalo della nascita: é frutto di una fatica erculea.

Ben vengano allora i corsi e le lacrime e le ore perse... quel che resta - secondo me e le persone che lavorano su di sè - non è un sorriso divertito di una bella giornata - pur facendo esso a piano titolo parte della vita di ogni essere umano ! - ... ciò che resta è - anche con gli occhi rossi e con un senso di spossatezza - un senso di pace, di coerenza, di umanità e la sensazione di giudicare molto meno sè stessi e gli altri.

L'anima ha probabilmente i temi di evoluzione delle galassie: ben vengano allora tutti i corsi e i percorsi che la sostengono in questa passeggiata che a volte attraversa il deserto.

Alessandro D'Orlando

Radici e frutti

Radici e frutti

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Inserito da Redazione lunedì 1 settembre 2008

Spesso mi sono chiesto a cosa servono i sogni: averli o no? Indeboliscono o rafforzano?

Oggi sento che i sogni sono come una guida: rappresentano ciò che sono i nostri desideri più profondi.

Non seguirli significherebbe perdere l'esperienza di vivere in maniera coerente ciò che si è. Un sogno che si manifesta come sciocco dopo un lungo viaggio è meglio di un sogno mai vissuto.

E meglio del sogno sciocco è il sogno che nasce dalla meditazione, dal raccoglimento in se stessi e dalla percezione della vita nella sua interezza - la nascita, la morte, la vecchiaia, la malattia, la sfortuna, il Male e il Bene, l'Amore e la Perdita.

Allora il sogno può essere al servizio della vita.

Vivere solo di sogni e della propria preziosa unicità porta alla follia, al delirio e alle allucinazioni: è un misero ritiro narcisistico, verso la psicosi, direbbe Erich Fromm.

Vivere a contatto della realtà esterna senza percepire la propria preziosa unicità porta all'alienazione: tutto si riduce a semplici oggetti senza significato, come nel libro La Nausea di Sartre (1).

Allora diamoci l'occasione di sognare, ma ancoriamo i sogni alla terra con il raccoglimento: allora siamo un albero con una grande chioma, ma anche con delle fortiradici che possono sostenere questa chioma.

O la chioma (i sogni) potrebbero far crollare l'albero, così come le radici senza frutto non servirebbero alla Vita....

Alessandro D'Orlando

(1) che per S. Grof, scopritore della respirazione olotropica, è rimasto incastrato in una esprienza perinatale di base del II tipo, durante la nascita e il percorso lungo il canale del parto... - v. Psicologia del Futuro, ed. red 2000.

Quanto vale il cuore di un essere umano?

Quanto vale il cuore di un essere umano?

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Inserito da Redazione giovedì 28 agosto 2008

Se le cose sono al servizio del Cuore,

allora non c'è limite al prezzo per un Cuore puro.

La vita stessa, e tutto ciò che ci sta in mezzo, prima e dopo il nulla.

O, per chi ci crede, più vite: lunghissime, o brevissime.

E dentro una vita: soldi, lavoro, carriere e relazioni, ricchezza e miseria, salute e malattia, vittorie e sconfitte, dolori continui e gioie che struggono.

Tutto per arrivare alla fine ad un Cuore che ricomincia a sentire, e non ha paura di questo sentire, seguendolo per le strade più impervie.

Se le cose fossero al servizio del Cuore.

(Ma se anche fosse l'incontrario, anche così renderebbero il loro più nascosto, doloroso e ancora una volta prezioso insegnamento).

Alessandro D'Orlando

Perche' credi ai complotti, perche' non credi ai complotti

Non credi ai complotti perché ti piace vivere sereno, pensare che andrà tutto bene, che continuerai ad avere lo stesso stile di vita o forse...